I Cani hanno inventato l’indie
Il 29 Gennaio 2021 Aurora de “I Cani” ha compiuto cinque anni. Un lustro si è frapposto tra il me che si appresta a sostenere un esame di maturità in mezzo ad una pandemia che non sembra voler placarsi e l’album che ha cambiato le regole del gioco. Ho pensato a questo mentre guardavo la prima serata del festival di Sanremo che quest’anno ha deciso di cambiare marcia, con l’intenzione di svecchiare lo show e portare qualcosa di fresco. La scelta non poteva che ricadere sul vasto panorama indie italiano, nel quale si muovono le nuove leve del cantautorato di una nazione che ha sfornato talenti del calibro di Battisti, Battiato, Dalla e mi fermo per motivi di spazio. Vedo i vari Fulminacci, Lo Stato Sociale, Coma Cose, Aiello e non posso fare a meno di pensare alla malinconia ne “Il posto più freddo” o alla carica cruda e cinica di “Velleità”.
“I Cani hanno inventato l’indie ma ora tutti lo fanno da cani”, per citare Willie Peyote e rimanere in tema Sanremo. Se ora c’è qualcuno su quel palco come su qualsiasi altro che tiene alta la bandiera di un genere per anni relegato a una piccola nicchia gran parte del merito va dato a Niccolò Contessa e al suo progetto musicale, conclusosi di fatto dopo tre album pubblicati a furor di critica e fan rimasti orfani del loro profeta. Perché di questo si tratta, di un visionario che con tutti i suoi disturbi ha anticipato e portato alla ribalta un genere che oggi spopola e domina le classifiche. E’ riuscito a parlare di attacchi di panico mettendo in mezzo riferimenti alla cultura pop, della vita di tutti i giorni di un ventenne romano che si alza tutte le mattine per andare all’università, del malessere che nasce vedendo generazioni che sbandierano le loro velleità al mondo intero per sentirsi migliori, il tutto mantenendo un livello talmente alto da far ricredere anche i più accaniti detrattori. Il culmine viene raggiunto proprio con Aurora, dove un sound più malinconico accompagna testi struggenti e sinceri, spianando la strada a un altro mostro sacro come Calcutta (indovinate chi ha prodotto Mainstream?). E allora non può che sorgere spontanea una domanda: come mai è sparito dalle scene?
Niccolò Contessa è uno dei più grandi paradossi musicali di sempre, ha portato sotto i riflettori un genere e ha lasciato che altri cavalcassero l'onda da lui generata, che parlassero di quel disagio che aveva raccontato con una crudezza che sapeva di dolore e strazio. Sono nate fanpages, si è creata una vera e propria mitologia intorno al cantante, che nel frattempo ha chiuso le pagine social e pubblicato solo due singoli dal 2016 ad oggi. L’ultimo, intitolato “Alla fine del sogno”, è stato pubblicato su SoundCloud così come i suoi primi lavori e tutto lascia presagire che sia stato l’addio definitivo alle scene, spezzando così le speranze mai del tutto spente dei suoi fan. Le conseguenze della sua precoce uscita dalle scene sono state diverse, come l’ampliamento di ciò che viene considerato “indie” nel panorama musicale italiano. Fino all’inizio degli anni dieci è stata presente una linea di demarcazione ben definita tra quella che veniva considerata “m*rda commerciale” e musica d’autore, con gli interpreti della seconda che volutamente stavano fuori dai riflettori e lontani dal grande pubblico, superficiale e qualunquista. Le regole sono cambiate eccome e i giovani, che siano affermati o affamati, sono schiavi dell’hype. Peyote nei suoi versi dà una lettura efficace della dinamica di rinnovamento che ha travolto la scena e quindi anche radio e ascolti, di come ormai i motivetti fischiettati in auto arrivino dagli eredi dei duri e puri, incorruttibili di fronte alle major. La nuova generazione non sente più questa divisione e la linea di demarcazione è destinata a diventare sempre più labile.
“E non è avere vent’anni, e non è avere gli esami, fidati è qualcosa in più.” Il secondo album, Glamour, da cui è tratto questo verso, tratta il disagio legato agli attacchi di panico e alla fama di un normale musicista che all’improvviso si trova travolto da dinamiche che mai si sarebbe aspettato, soprattutto dopo aver raccontato senza peli sulla lingua l’ipocrisia di una società superficiale e alienante come quella medio borghese italiana.
Parte dei soldi li ho spesi in assoluta allegria
Potevo pure finirla con i conti in tasca
Di contare 10 euro in cambio dei long islands
E tra quanto uscivano le mie interviste
E allora risulta chiaro come Contessa sia semplicemente quel musicista veramente alternativo fino in fondo, coerente con se stesso e con gli altri che ha deciso di allontanarsi da un ambiente che non rispecchiava più le sue esigenze umane e artistiche. Come da programma l’Italia non ha mai capito, eccezion fatta per qualcuno, il valore di qualcuno che finalmente era riuscito, con competenza e coerenza, ad affermarsi nel mercato discografico che stava inevitabilmente cambiando. Questo è Contessa, l’artista che non meritiamo ma di cui abbiamo dannatamente bisogno. Non smetteremo di aspettarti e, soprattutto, di ringraziarti, “com’è logico che sia”.
Jacopo Suozzi